In foto: Dell’Osso e Vittorio Sgarbi.
Biennale di Venezia da vicino: We are what we are di Dell’Osso
…è artista che svetta per tecnica e contenuti per l’altezza di una buona pala eolica sulla testa degli altri suoi compagni di mostra. Non è un caso se molti di loro sono esposti solo nelle case museo delle loro sorelle e, invece, 200 degli acrilici dellossiani costituiscono una foltissima arca di Noè pittorica e stipata, proprio come in un parallelo con l’episodio della Genesi, in una grande nave (in questo caso, non una da diluvio universale, bensì da crociera: la Costa Deliziosa di Costa Crociere).
We are what we are (“Siamo quello che siamo”) rappresenta un paesaggio diviso a metà. Non neoplatonicamente a metà, come in tanti dipinti di dialettica fra Dio e uomo, con un cielo e una terra che lottano per finta in una battaglia pareggiata in partenza. Il paesaggio è diviso bensì fra un settore sinistro, in cui un paesaggio tipico rinascimentale misto roccioso e alberato sta per essere travolto da uno tsunami, e un settore destra, in cui un anziano uomo teledipendente guarda tranquillamente il suo programma preferito, da un piccolo televisore accso giusto sull’asfalto di una strada. Intorno a lui un paesaggio pugliese contemporaneo: tralicci della luce, campi di grano, pale eoliche (ridaje). Al centro di tutto un’apparizione tenta di salvare il salvabile, fra scempio del paesaggio e dell’anima: una specie di Madonna del Parto con capo fiammeggiante, col bambino che invece che starle ancora in grembo, come nell’iconografia pierfrancescana conservata a Monterchi, le penzola fra le gambe dal cordone ombelicale. Un tragico, struggente, pericolosissimo tentativo di ritorno alla natura, nella speranza che il richiamo della foresta non sia troppo in ritardo.
Questo quadro di Dell’Osso solo a uno sguardo superficiale può sembrare solo folle e disturbato. Invece è folle, disturbato e anche profondamente ecologista. Almeno, lo è tanto di più rispetto alla maggior parte delle altre opere selezionate da Vittorio Sgarbi e Toti Carpentieri come attorno a un filo conduttore ambientale. Un criterio, se ve n’era uno, quasi sempre disatteso.
Ora, purtroppo sappiate una cosa. L’omino teledipendente oggetto della (probabile) salvazione mariana, probabilmente, nel corso del tempo, è riuscito anche a farcela, a rinunciare al rapporto così diretto con il mezzo televisivo. Anzi, non escludiamo che se, nell’occasione di We are what we are l’omino fece salva la pelle, potette essere proprio grazie a una sorta di fioretto last minute di rinuncia al piccolo schermo. Dio solo sa che metafore berlusconiane uno potrebbe tirarne fuori.
Ma non è comunque questo il punto. Il punto è che questo dipinto è stato concepito nell’ottobre 2005. Nel febbraio 2006, al secondo tsunami documentato da Dell’Osso, per quanto privo di televisore e dotato di ombrello, l’ominio è purtroppo venuto a mancare, come attesta con pressoché assoluta certezza il quadro qui accanto (concepito appunto in questa seconda data).
Dunque, al netto del toupet di pelo sullo stomaco che avevamo sentito necessario, prima di guardare più vicino questa opera, possiamo dire che fra refusi nelle didascalie (se ci fate caso c’è ancora uno bello grosso in una delle quattro installazioni principali…).
L’acrilico biennallizzato di Dell’Osso è quanto di meglio potete vedere e toccare con mano (sorveglianza zero) alla Biennale dell’asse veneto-salentino. E non lo diciamo solo perché “gli piace vincere facile” o: Dell’Osso è veramente un maestro della sua nicchia e non inserirlo nella selezione del meglio sarebbe stato un errore.
Ex monastero dei Tatini – Lecce.
Articolo: Biennale di Venezia – Dell’Osso invitato a partecipare alla 54° Biennale di Venezia 2011 presso il Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi
Categoria: Artisti contemporanei italiani – pop surrealismo.
Domenico Dell’Osso
Artista italiano, definito dalla critica, capostipite del pop surrealismo italiano, movimento artistico internazionale, conosciuto anche come Lowbrow art, o con il nome di pop surrealism o popsurrealism, corrente che affonda le sue origini nel surrealismo.
Domenico Dell’Osso è celebre anche per essere stato selezionato per le finali dei più importanti premi nazionali come: Premio Arte Laguna, Premio Ceres, Premio Terna, Premio Open- Venezia, Premio Dalla Zorza, Premio Combat Prize… e inoltre per aver vinto il Premio Arte Mondadori, il Premio Celeste, il Premio Pio Alferano, il Premio Zuanazzi…
E’ uno degli artisti italiani più apprezzati nel mondo dello spettacolo, del cinema e della musica.
Oltre all’ABI (Associazione Bancaria Itaiana), molte le aziende con cui ha collaborato, tra cui: Universal Music, Ceres, Mondadori, Costa Crociere, Terna, Frankie Garage…
Fra i suoi acquirenti, collezionisti ed estimatori, anche personaggi illustri: Sharon Stone, Luciano Benetton, Urbano Cairo, Michele Santoro, Vittorio Sgarbi, Giampiero Mughini, Gianmarco Tognazzi, Philippe Daverio, Caparezza, Rocco Siffredi, Antonello Venditti, Rocco Papaleo, Carlo Freccero, Pino Donaggio, Tony Renis, Carlo Marrale, Nicola Porro, Maurizio Solieri, Paolo Migone, Leonardo Manera, Edoardo Winspeare, Pio e Amedeo, Antonio Stornaiolo…
Ad oggi, tra collettive e personali, ha effettuato più di 40 mostre su tutto il territorio nazionale. Oltre che in gallerie private, le sue opere, sono state esposte anche presso l’Arsenale di Venezia, il Museo Mambo- Bologna, Museo Madre- Napoli, Biennale di Venezia, Centro Pecci- Prato, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo- Torino, Palazzo della Permanente- Milano, Spazio Oberdan- Milano, Teatro dal Verme- Milano, Museo Fondazione Luciana Matalon- Milano, Palazzo dei Congressi- Roma, Fondazione Cini- Venezia, Centro congressi Roma eventi, ex Convento dei Teatini- Lecce, Arte Fiera- Bologna, Arte Padova, Art Verona, Miart, Artissima…
Aggiornato a ottobre 2016
Articolo: Dell’Osso invitato a partecipare alla 54° Biennale di Venezia 2011 presso il Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi
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