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Domenico Dell'Osso popsurrealism surrealismo artista

Press

Su questa pagina sono presenti solo 17 dei 130 testi cartacei ufficialmente noti, scritti riguardo l’Artista.
Per ulteriori approfondimenti, contattare l’Artista.

La serenità si costruisce pensando in modo positivo
(testo della mostra personale a Venezia nel settembre 2011)

Atmosfere surreali e fantastiche, si mescolano a iconografie di sapore fumettistico e pop, molto vicine alle esperienze low brow. Un modo fantasioso per narrare e superare le disavventure in cui ciascuno può incappare in ogni istante: i sempre ricorrenti, al giorno d’oggi, “imprevisti” o “piccoli incidenti”. Nelle Opere di Dell’Osso c’è un inquietudine sottile, vagamente angosciosa, costantemente contraddetta da una gioia di vivere raffigurata da un’atmosfera di delizia dove tutto è sublime e leggero, e ogni peso viene annullato, ponendo così esseri e cose sullo stesso piano. Nelle sue Opere tutto quel che può far paura all’uomo diviene innocuo; il suo non vuole essere dunque un rapporto tragico (come può apparire in un primissimo momento guardando distrattamente le sue Opere), ma una visione reale dei limiti dell’essere umano, limiti trasformati in gioco tramite l’accettazione del senso di realtà sorretta dall’ironia. L’Ironia, legante fondamentale per rendere possibile la vita con le sue difficoltà, dove anche la comprensione dell’inaspettato, a quel punto si dimostra componente vitale dello sviluppo armonico dell’essere. Spunti grotteschi, fantasie infantili, vissuto, gioie, sofferenze, ecc, si fondono all’interno delle sue stanze (proiezioni interiori dell’uomo), nelle quali, con ottimismo, l’omino affronta giorno dopo giorno, disegno dopo disegno, come in una narrazione a puntate, la moltitudine di situazioni comuni a tutti. L’omino non mostra mai il viso affinché chiunque di noi possa riconoscere il proprio volto nel suo. Con l’ironia e le forme morbide e semplificate dei suoi disegni e dipinti, Dell’Osso trasforma la realtà in una sorta di fumetto, per facilitare (allo spettatore) l’identificarsi nel soggetto, mettendosi in discussione, fino a comprendere come le paure quotidiane, valutandole da punti di vista differenti (come ad esempio prendendo spunto da alcuni titoli), diventino inesistenti e che dunque a volte basta cambiare un piccolissimo pensiero per trasformare un immenso mondo interiore. La serenità si costruisce pensando in modo positivo, questo il messaggio che Dell’Osso vuol trasmettere; qualsiasi situazione (anche negativa) se viene affrontata con ironia, tenacia e forza d’animo, porta ad una maggiore consapevolezza della vita come una cosa stupenda. Nelle sue Opere si rivive un ritorno alla fanciullezza dello spirito che apre la strada verso un’allegria carica di serenità nel rapporto tra l’Io e il mondo circostante e allo stesso tempo densa di elevati livelli di coscienza.

Dell’Osso è un segnale del mondo di oggi
Critica di Philippe Daverio
(tratta dal video di una premiazione)

Dell’Osso è un segnale del mondo di oggi e di un’età di oggi. L’abbiamo scelto per due motivi, il primo perché cercavamo un’opera che fosse praticamente legata alla linguistica di oggi, e nella sua Opera abbiamo trovato delle caratteristiche provenienti un pò dal mondo virtuale che andavano a congiungersi con il mondo dell’attualità dove la fotografia non era fotografia ma era un pò pervertita da gesti di pittura nonché da interventi successivi, e il secondo motivo perchè abbiamo visto che dietro c’era un Saraceno, dunque mettendo le due c ose insieme non abbiamo potuto esitare ad assegnare il primo premio a Dell’Osso…

Dell’Osso capostipite dei pop surrealisti italiani
Parte dell’articolo a cura di: Igor Zanti, pubblicato a Marzo 2011 sulla rivista Inside Art
Il più occidentale dei linguaggi neopop è debitore della dimensione simbolista
SURREALISMO O SIMBOLISMO?

… Sicuramente quando si parla di pop surrealismo il primo e più diretto riferimento va all’esperienza statunitense e a quel nutrito gruppo di artisti che si raccoglie intorno alla galleria newyorkese Jonathan Levine. Bisogna però ricordare che questo fenomeno, questa corrente o, come la definisce Ivan Quadroni nel suo “Italian newbrow”, questa attitudine, è presente a vari livelli e si sta affermando con una certa fortuna anche in Italia. Domenico Dell’Osso, per esempio, da anni produce una pittura dove tutti gli elementi classici del pop surrealismo sono presenti a tal punto da poterlo definire il capostipite dei pop surrealisti italiani…
…Per quanto il pop surrealismo, come si è visto, si stia affermando sul suolo italiano, e vi sia un certo interesse anche a livello internazionale, come dimostrano le recenti mostre dedicate dalla…

Dell’Osso è uno dei più giovani e brillanti talenti della figurazione italiana salito a bordo di Costa Deliziosa
Recensione a cura di: Martina Corgnati
(Arte a bordo, catalogo Costa Crociere presentato alla Triennale di Milano il 23 Febbraio 2011 da Martina Corniati e
Philippe Daverio )

E’ uno dei più giovani e brillanti talenti della figurazione italiana salito a bordo di Costa Deliziosa. Un incontro folgorante, anzi un colpo di fulmine: sulla nave dedicata al piacere e alla bellezza, alcune suites portano la sua firma e una parte della sinfonia pittorica dello scalone di poppa, I luoghi di delizia. Il suo è un mondo surreale, dove tutte le leggi fisiche sono annullate, dove capidogli, orche lucciole e farfalle convivono gioiosamente: la natura è un miraggio alla Rousseau, libero e immune dalle costrizioni della storia e dagli interessi dell’uomo. E’ deliziosamente selvaggia. Sono opere brillanti e di grande originalità. Cosa ci fa una balenottera azzurra in cima ad una montagna? E i capidogli in un boschetto, a caccia di lucciole? E una mucca olandese su un iceberg al polo nord? Il giovane artista pugliese Domenico Dell’Osso, vincitore del Premio Arte Mondadori nel 2007 e del Premio Celeste l’anno successivo, non è nuovo a queste proposte di un ecologia fantastica, tanto sorprendenti e brillanti da portarlo a bordo di Costa Deliziosa con un gran numero di dipinti, ambientati nelle suites e sugli scaloni. Dell’Osso è un eccellente interprete di quella nuovissima figurazione dal sapore tecnologico e tecnica impeccabile che ha convinto parecchi fra gli artisti italiani delle ultime generazioni. I suoi acrilici, eseguiti con minuzia da miniaturista e con perfezionismo da iperrealista, sono portatori sani di un originale spirito surreale, che coniuga in una sintesi imprevista il gusto per l’assurdo dei figliocci di Breton con le dirompenti possibilità della realtà virtuale e dell’hi-tech digitale. “Il messaggio che cerco di dare tramite le mie opere”, ci spiega Dell’Osso “è che qualsiasi situazione (anche negativa) se viene affrontata con ironia, tenacia e forza d’animo, porta ad una maggiore consapevolezza di quanto la vita sia una cosa stupenda”. In questi paesaggi, perfetti tanto per un film di fantascienza quanto per un rendering di paleontologia, convivono allegramente con grande leggerezza mammiferi marini, terrestri, coccinelle giganti e lucciole, pesci spada e ranocchie fuori scala insomma tutto il possibile e anche l’impossibile in un insieme allegro, ottimista e sorridente.

Uno dei più puri ed interessanti esempi di penetrazione della cultura pop surrealist nel panorama artistico italiano
Giudizio critico a cura di: Igor Zanti
pubblicato sul catalogo Ceres4Art 2011

La pittura di Domenico Dell’Osso è uno dei più puri ed interessanti esempi di penetrazione della cultura pop surrealist nel panorama artistico italiano. Ci si rende conto, osservando il suo percorso, come Dell’Osso sia giunto ad una sintesi che l’avvicina molto alle esperienze low brow tipiche di una certa tendenza dell’arte statunitense, prendendo il via da una dimensione puramente italiana. Una sontuosa e ricercata materia pittorica, avvalorata da un uso sapiente dell’ olio che ritrova le sue radici e crea strettissime connessioni con la tradizione della pittura classica, si unisce ad un tessuto iconografico che presenta tutti gli elementi tipici del pop surrealism americano. Le tele di Domenico Dell’Osso sono, infatti, permeate da una costante ricerca di magici non sense, calate in una dimensione di surreale straniamento e caratterizzate dalla presenza di personaggi ed elementi feticcio. L’omino solitario-di evidente ispirazione autobiografica- le balene dai tratti infantili, le rocce o il mare- quasi sempre in tempesta- il cielo plumbeo e minaccioso, sono costanti della poetica pittorica della’artista e si ripropongono con ciclicità nelle sue opere, quasi a delineare un percorso che si basa su rimandi velati che tendono a definire una dimensione narrativa complessa e articolata.

Biennale da vicino: We are what we are di Dell’Osso
(Articolo di Giovanni De Stefano)

…è artista che svetta per tecnica e contenuti per l’altezza di una buona pala eolica sulla testa degli altri suoi compagni di mostra. Non è un caso se molti di loro sono esposti solo nelle case museo delle loro sorelle e, invece, 200 degli acrilici dellossiani costituiscono una foltissima arca di Noè pittorica e stipata, proprio come in un parallelo con l’episodio della Genesi, in una grande nave (in questo caso, non una da diluvio universale, bensì da crociera: la Costa Deliziosa di Costa Crociere). We are what we are (“Siamo quello che siamo”) rappresenta un paesaggio diviso a metà. Non neoplatonicamente a metà, come in tanti dipinti di dialettica fra Dio e uomo, con un cielo e una terra che lottano per finta in una battaglia pareggiata in partenza. Il paesaggio è diviso bensì fra un settore sinistro, in cui un paesaggio tipico rinascimentale misto roccioso e alberato sta per essere travolto da uno tsunami, e un settore destra, in cui un uomo teledipendente guarda tranquillamente il suo programma preferito, da un piccolo televisore acceso giusto sull’asfalto di una strada. Intorno a lui un paesaggio pugliese contemporaneo: tralicci della luce, campi di grano, pale eoliche. Al centro di tutto un’apparizione tenta di salvare il salvabile, fra scempio del paesaggio e dell’anima: una specie di Madonna del Parto con capo fiammeggiante, col bambino che invece che starle ancora in grembo, come nell’iconografia conservata a Monterchi, le penzola fra le gambe dal cordone ombelicale. Un tragico, struggente, pericolosissimo tentativo di ritorno alla natura, nella speranza che il richiamo della foresta non sia troppo in ritardo. Questo dipinto solo a uno sguardo superficiale può sembrare solo folle. Invece è folle e anche profondamente ecologista. Almeno, lo è tanto di più rispetto alla maggior parte delle altre opere selezionate da Vittorio Sgarbi come attorno a un filo conduttore ambientale. L’acrilico biennallizzato di Domenico Dell’Osso è quanto di meglio potete vedere e toccare con mano… E non lo diciamo solo perché “gli piace vincere facile o: Dell’Osso è veramente un maestro della sua nicchia e non inserirlo nella selezione del meglio sarebbe stato un errore.

Le sue opere piene di luce, hanno dato un tocco di freschezza tra tanta antichità
Lettera dell’organizzatrice della personale a Roma,
pubblicata su varie testate giornalistiche Nazionali

Scrivo al vostro giornale per congratularmi con il pittore Dell’Osso del grande successo riscosso durante la mostra delle sue opere nella suggestiva via Giulia a Roma… Le sue opere piene di luce, hanno dato un tocco di freschezza tra tanta antichità. Ma la cosa che mi ha stupita è stata l’apprezzamento da parte dei visitatori di qualsiasi nazione e di qualsiasi età tra persone colte, critici d’arte, professori di accademie, giornalisti, attori, tra cui Michele Santoro, Giampiero Mughini, Gianmarco Tognazzi, Beccaria, il professore Enea Casadei, e tanti altri. Molti gli apprezzamenti come: uno stile nuovo e fresco, pittore di grande talento, giovane gia affermato, e, addirittura, giovani visitatori che attraverso le sue opere avvertivano il loro vissuto. Questo ha colpito anche me che scoprendo l’artista solo due anni fa e credendo subito in lui nonostante tutti i miei impegni ho voluto rappresentarlo nella grande città di Roma, dove, molti ancora parlano di lui…

La forza d’animo dell’uomo
Autore: Yvonne
(Recensione tratta dal catalogo della personale a Vicenza nel 2011)

…A proposito di ironia sofisticata dobbiamo parlare di Domenico Dell’Osso. Pittore eccellente. Vincitore di numerosi premi: premio Arte Mondadori 2007, Premio Celeste 2008, premio speciale Arte laguna 2011. Il suo lavoro è passato da un primo periodo di analisi personale a una fase di introspettiva incentrata sul collettivo e l’attualità. Le atmosfere dei suoi quadri sono surreali, fumettistiche, piene di particolari ironici, a volte anche esilaranti. L’opera esposta in questa collettiva ha una composizione naturalistica quasi antica, la pennellata lenta e precisa dei maestri di una volta, ma un linguaggio assolutamente contemporaneo. Una immagine che crea stupore, curiosità e apre la mente verso nuovi ragionamenti sul mondo e il suo attuale sovvertimento. Il pensiero magico di Domenico Dell’Osso è la forza d’animo dell’uomo…

Uno dei più grandi pittori Pugliesi
Critica tratta dal discorso inaugurale della personale a Bari
(pubblicata anche su varie testate giornalistiche Nazionali)

… Già avanti come esperienza e con una ben definita personalità pittorica si colloca egregiamente nell’area surrealista come traduttore minuzioso della realtà descrivendo il complesso labirinto di emozioni che lo possiede, sovvertendo la realtà stessa e facendo dell’antipittura evitando quel razionalismo pittorico per la sua espressività…

Autobiografia è un sogno pop – 
Dell’Osso isola il suo alter ego sopra un iceberg. O nella giungla…
Recensione a cura di: Alessandra Redaelli (Arte Mondadori)

Nato nel 1975 a Taranto, vincitore della Targa d’oro per la pittura all’ultimo Premio Arte, Domenico Dell’Osso fa una pittura complessa, dove atmosfere surreali si mescolano a iconografie di sapore fumettistico e pop, dove spunti grotteschi e fantasie infantili si fondono in paesaggi alla Saint-Exupèry. Solo contro una natura impervia, un uomo lotta per la sopravvivenza seduto sulla cima di un iceberg, oppure questo stesso uomo cavalca pesci giganti o animali feroci in paesaggi rocciosi invasi da una natura lussureggiante. Se nella serie degli iceberg la fissità dell’immagine è la semplicità dell’impianto – nonchè la scelta della scala cromatica – fanno pensare alla lezione di Magritte, i paesaggi rocciosi, affollati e dinamici, sono molto più vicini a Dalì. Domina, come nei lavori del maestro spagnolo, un inquietudine sottile, vagamente angosciosa, che però nei dipinti di Dell’Osso è costantemente contraddetta da una gioia di vivere che trova espressione nell’amore con cui è dipinta ogni foglia, ogni spruzzo d’acqua, ogni singola venatura della roccia. Con un fondo di ottimismo, l’omino (che l’artista, non senza una certa timidezza, confessa essere il suo alter ego) affronta giorno dopo giorno, tela dopo tela, come in una narrazione a puntate la quotidianità.

Fra favola e realtà
Recensione a cura di:

…Dell’Osso in un momento della storia dell’arte contemporanea in cui l’eco di antiche formule tecniche vengono riesaminate, analizzate, riviste o riciclate, e ciò secondo la ritualità critica, sembra imponga un proprio linguaggio immaginativo ed etico in cui la visione diventa un qualcosa che si muove fra la favola e la realtà entrambe catalizzatrici di un principio che è “l’esistenzialità”, non freudiana o proustiana, ma conseguente alla tematica moderna. Surrealismo, simbolismo, realismo magico, neo-romanticismo: vengono in mente ma è puro astratto paragone perché nelle piaghe della rappresentatività di Dell’Osso c’è la ricerca di un modello che pur potrebbe rientrare in siffatto contesto culturale. Tuttavia egli irrompe nel nuovo modo di compitare con l’esistenza in fase problematica con i fantasmi dell’intelletto per una sempre diversa dimensione e una morfologia particolare. Questo il “nucleo” della pittura, in ispecie, del pugliese Dell’Osso che, dalla sperimentazione deve aver trovato nuovi strumenti per esprimersi in quella che, in fondo, è la considerazione dei fatti per comunicare con gli altri e visivamente esprimere il proprio punto di vista. Forse non manca nemmeno quella parte romantica che rientra nella metafora. L’inconscio-infine- tipico del Surrealismo – appare nell’intenzione dell’artista di indulgere ai concetti di lotta verso ciò che non sia amore delle cose e rifiuto della violenza: tutti elementi difficili da significare se non con il simbolo o l’allegoria…

PITTURA TARGA ORO Surrealismo ad alta definizione
Testo tratto dalla recensione pubblicata il Novembre 2007 su Arte Mondadori a cura della redazione

Domenico Dell’Osso ha vinto la targa oro per la pittura con l’acrilico su tela “difficoltà di adattamento sociale – Sopravvalutazione del controllo dell’intelletto sulla materia dell’inconscio che ha la funzione di difesa dagli istinti visivi come pericolo – Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quel che lascia non sa quel che trova “. Le atmosfere surreali, fumettistiche – pervase da una sottile inquietudine – sono rese dall’artista con una pennellata paziente e definita che esalta il raffinato gioco di luci.

Visioni contemporanee del paesaggio urbano
Testo tratto dal catalogo della mostra a Matera a cura di Italia Nostra.

Si è parlato, per Dell’Osso, di un “surrealismo pop” una vena di ironia fantastica , a tratti fumettistica, capovolge in gioco le ansie della quotidianità. Tra echi di Dalì e sospensioni silenziose che conducono a Magritte, si snodano le serie figurative dai nomi descrittivi, ingenui all’apparenza – Paesaggi con Roccia, Interni con ombra – in cui gli ambienti non sono altro che proiezioni interiori. La natura rigogliosa, resa con estrema cura, ad un primo sguardo appare incontaminata, ma rivela presto la sua anima “urbana”: tra le rocce si stagliano cancelli di ferro, negli iceberg si aprono piccole finestre e le balene restano spiaggiate sull’asfalto. Un omino tondo, alter ego dell’artista, è l’unico essere umano ad aver confidenza con un cosmo poco rassicurante; interagisce con gli animali, talvolta moltiplicandosi come clonato . l’atmosfera inquieta come si trattasse di una contemporanea preistoria, è contrastata dalla sconfinata forza della vita, che Dell’Osso celebra in ogni sua opera.

Collettiva in Basilicata
Testo di Damiano Laterza
tratto dal Sole24ORE:

…In questo realismo postpasoliniano c’è posto pure per la surrealtà di Domenico dell’Osso (classe 1975, già vincitore del Premio Celeste). I suoi esseri robotico-fumettistici posano in scenari sorretti da una metafisica contaminata di pop e onirico trip: urbanità come condizione intima…

A mio padre
Testo tratto dal catalogo della Personale a Milano:


…La sua pittura affronta il problema dei surrealisti europei, quello di rendere la realtà come sogno, piuttosto che il sogno come realtà figurativa. La differenza sta nel fatto che, mentre il sogno è arido, privo di poesia e appena evanescente nella memoria, la pittura di Domenico Dell’Osso è viva, fatta di ricordi recenti e indimenticabili, di memoria giovane e indelebile, piena di poesia e di fascino. Le sue forme si sono formate da sogni, immaginate, ma non gratuitamente, perché sono sempre sottilmente collegate alla realtà che lo circondano…

Quando la passione per un dipinto la si vive sulla pelle – Tatuaggi con le opere di Dell’Osso
di ENZO FONTANAROSA “La Gazzetta del Mezzogiorno 16-3-2018”

Dipinti da ammirare, in allestimenti ed esposizioni. Oppure su una parete in casa, nel salotto buono. O, perché no, da indossare o far divenire parte di sé. Di tatuaggi quali “linguaggio” e forma d’espressione del corpo ce ne sono diversi che possono effettivamente essere classificati come arte sulla pelle. Se c’è chi li mette al bando considerandoli non degni di considerazione positiva, c’è pure chi punta a far superare gli stereotipi che rinnegano al tatuaggio la sua importanza artistica. S’immagini, quindi, lo stupore di un artista ignaro che sue opere, o particolari di esse, venissero riprodotte a sua insaputa come tatuaggi quanto mai originali. Domenico Dell’Osso l’ha scoperto per caso, non immaginando mai che la sua fama di pittore travalicasse gli ambiti delle gallerie d’arte e delle esposizioni o concorsi artistici dove il suo estro trova unanimi e ampi riconoscimenti. «Lo confermo, se non mi fosse stato detto da chi si è fatto riprodurre sulla propria pelle una mia opera non avrei neppure immaginato che ciò accadesse», spiega mostrando uno scatto…. Ne sono rimasto meravigliato e incuriosito. Tant’è che poi ho iniziato una ricerca attraverso il web che mi ha fatto scoprire anche altri che hanno utilizzato mie opere e, in particolare, l’omino che è presente in diverse altre mie tele e che rappresenta un po’il mio alter ego. L’ho pure ritrovato inserito in un tattoo tribale. Insomma, c’è chi mi ha fatto sapere e mostrato in foto quello che si è fatto realizzare. Visto il numero di contatti, ho notato che è una sorta di fenomeno virale, specie tra i giovani e che, quindi, non ha confini, visto che sono state utilizzate immagini prese dalle mie pagine social sul web e dal mio sito». Opere di Dell’Osso e una simpatia non solo “a pelle”, è il caso di dirlo, in omaggio alla sua creatività. «Ho accertato che ci sono state elaborazioni che, oltre a riproduzioni classiche su magliette o tazze, sono diventate anche decorazioni per caschi motociclistici e gadget vari, chiaramente non autorizzati da me, ma fa nulla. Oppure anche decorazioni di torte, col mio omino realizzato in pasta di mandorle», aggiunge il pittore ginosino ma materano d’adozione. C’è, quindi, anche un dolce e goloso risvolto della “Dell’Osso-mania”. «Eppure, debbo confessarlo, la cosa non è che mi abbia entusiasmato all’inizio. Anzi», dice. Come mai? «Inizialmente provavo fastidio per la cosa perché mi faceva perdere, come dire, il controllo dell’opera in sé: la gente prendeva i miei dipinti e li stravolgeva. La cosa mi spaventava – afferma –. Poi mi sono reso conto che come artista non solo non ci si può sottrarre alla critica e soprattutto ci si deve mettere in mostra. È utopia pura pensare che si possa nascondere cose intime: queste vanno mostrare e non si devono avere segreti. Anzi, più hai il coraggio di mostrare veramente te stesso più sei utile gli altri». Per cui la divulgazione delle opere con, in particolare, i tatuaggi «oltre a essere un fenomeno che non puoi certo bloccare o controllare, significa che la gente comunque fa sue le tue rappresentazioni pitture e questo è il massimo che potevo aspirare in realtà. Cioè, che amassero tanto quello che faccio da decidere di farlo proprio, di portarlo sul proprio corpo non in maniera effimera, ma con un tatuaggio».

Canale Arte 5/2018
intervista a cura di Sabrina Colandrea

Domenico Dell’Osso ha imparato a conoscersi grazie ai suoi quadri, usando la pittura – e prima ancora il disegno – come una terapia.

Prima di realizzare un nuovo dipinto non ha mai un’idea precisa. Si mette davanti alla tela vuota con la sensazione che resta dopo aver fatto un sogno: allegria, tristezza, angoscia… La respirazione, il training autogeno, l’ascolto di musiche composte da lui stesso fanno il resto. Dell’Osso alimenta scientemente lo stato d’animo che prova fino a ritrovarcisi immerso. Solo allora inizia a dipingere. “Se realizzassi un’opera partendo da un’idea che ho già, si tratterebbe di un progetto ‘limitato’, che non mi permetterebbe di fare un passo ulteriore nella conoscenza – spiega l’artista -. Io mi approccio alla tela senza sapere cosa succederà. Così scopro cose che sono nel mio inconscio, ancora non elaborate a livello razionale. E scopro anche me stesso”.

Sei un autodidatta, si potrebbe dire un artista nato. Da dove è partito tutto?

“Io nasco con una dote – chiamiamola così – quella di saper disegnare. I miei genitori non mi hanno detto come avrei dovuto fare. Da subito, spontaneamente, ho utilizzato entrambe le mani. Vedendo che andava bene così, non mi hanno mai corretto. I limiti ce li poniamo noi. Non sono mancino. Come chi suona il pianoforte, gli ‘assoli’ li faccio con la destra, l’accompagnamento con la sinistra.”

Come mai usi i colori acrilici per realizzare le tue opere?

“A 13 anni mio padre, vedendo che ero diventato abbastanza bravo nel disegno, mi volle comprare dei colori. Andammo in una Ferramenta perché a Ginosa, dove sono nato, non c’erano negozi di belle arti. Il negoziante disse che potevo iniziare con degli acrilici per pitturazioni di interni ed esterni, barattoli da un chilo. Ho iniziato così e sono rimasto legato a questi colori che normalmente si usano nell’edilizia.”

I tuoi quadri sembrano delle stampe. Come mai aggiungi questo ‘effetto lucido’?

“Tutti gli artisti rappresentano nelle loro opere un’immagine che hanno dentro di sé, ciascuno tramite i propri mezzi, chi con la pittura chi con la scultura. Sulla tela si notano le pennellate e io questo lo vedo come un limite. Per questo cerco di trovare dei tagli netti, delle curve perfette. L’effetto lucido mi serve per allontanarmi ancora di più dall’idea del dipinto. Non voglio che le mie opere svelino la tela che c’è sotto perché nel mio immaginario, quando stavo costruendo l’opera, della tela non c’era traccia.”

Hai mai pensato che la tela potrebbe non essere il supporto giusto?

“È una questione tecnica. Ci sono degli aspetti che la rendono indispensabile: quando fai delle stesure o delle sfumature, il colore si aggrappa e si incastra nella trama della tela. Se dipingessi su vetro, per esempio, non riuscirei a ottenere lo stesso effetto. Se però trovassi un materiale diverso per esprimere quello che sento lo userei. Forse anche per questa disponibilità a cambiare supporto, non mi sento un artista ‘tradizionale’. Disegno fin da quando ero piccolo perché è sempre stato il mio modo per esprimermi. Nella mia vita non ho solo esposto in gallerie e partecipato a concorsi artistici. Ho anche fatto copertine di dischi, per ‘Museica’ di Caparezza e per Universal Music, e ora sto lavorando a dei cartoni animati tratti dalle mie opere perché un mio dipinto può diventare anche altro.”

Le tue opere hanno un che di fumettistico, in effetti…

“Molti miei quadri sono quasi delle vignette senza parole. C’è un personaggio ricorrente, l’omino, che dovrei essere io, ma che in realtà rappresenta tutti. Quasi sempre lo raffiguro di spalle perché ognuno possa immedesimarsi nelle sue disavventure. Il limite del dipinto è che tu metti su tela un’idea, un’immagine, ma l’immagine nella mia testa è in movimento dunque io completerei le mie opere creando delle scene, creando un mondo… Un tempo si poteva raffigurare un’idea solo in modo statico, oggi, con le nuove tecnologie, un mio dipinto può diventare anche un videogioco. I cartoni animati sono un esperimento che sto portando avanti sui social: metto insieme in un video due-tre dipinti fatti nello stesso periodo. Prima ancora li osservo, cerco di capire come mai ho utilizzato scene simili in dipinti diversi, che significato ha questo per me. Di solito un’opera da sola non fa capire tanto, una successione invece racconta una storia. Quando ne capisco il senso, do un titolo all’opera. In passato i miei dipinti raffiguravano degli errori, dei modi sbagliati di compiere un’azione. Osservandoli capivo alcuni miei comportamenti e nel titolo inserivo la ‘correzione’. Come in ‘Per vincere ci vogliono le palle’, che raffigura un omino a mani vuote davanti a un canestro. Un titolo ironico che nasconde un significato più profondo.”

C’è un’evoluzione nel modo in cui raffiguri l’omino, prima tozzo poi slanciato. Come mai?

“È vero, quello che li accomuna sono le situazioni difficoltose in cui li inserisco. Parlando con la gente mi sono reso conto che raffiguravo quelli che credevo fossero i miei limiti, le mie paure. In realtà sono le paure di tutti e non li chiamo nemmeno più limiti: la vita è fatta così. A un certo punto mi sono accorto di essere cresciuto perché non sentivo più l’esigenza di inserire l’omino tozzo nei miei dipinti, li vedevo completi senza di lui. Dipingendo per inconscio, se non sento di raffigurare qualcosa è perché non fa più parte di me. Sono venute fuori alcune opere senza questo personaggio, ma ero insoddisfatto. Ho aggiunto poi una nuova figura, questo omino slanciato. Per un periodo i due hanno coabitato nei miei dipinti. Poi il ciclo si è concluso e l’omino tozzo è definitivamente sparito. Ho capito che il piccolo faceva parte del grande, come si nota bene nell’opera, ‘La mia casa sono io’. Sono andato via di casa presto, sono stato a Milano, Pesaro, Roma, vivo a Matera da 10 anni… non mi sentivo a casa da nessuna parte. Poi ho capito che non è una cosa solo mia. L’arte mi ha aiutato a confrontarmi con la gente. Pensavo che gli altri fossero perfetti. Quando ho capito però che nessuno ha certezze, ho capito anche che casa è dove sono io.”

Cosa intendi per pittura inconscia?

“Da ragazzo non credevo in me stesso però ho sempre creduto in quello che facevo. Vedo l’arte come qualcosa di sacro, tanto da abbandonarmici, da non imporre a me stesso un’idea, ma farla fluire in modo inconscio. Ciascuno di noi assimila tutto quello che gli arriva, un artista nell’esprimersi può decidere cosa utilizzare e cosa no. Ma se dipingi a livello inconscio usi le cose che vuoi e quelle che non vuoi mostrare di te. Sei molto più vero. I critici hanno sempre visto in me questa forza. Io mi esprimo d’istinto, è come se non fossi solamente io a dipingere, ma consultassi tutte le persone che ho incontrato nella vita. Di solito dipingo di notte perché so che non c’è nessuno in giro, non mi squillerà il telefono e non avrò distrazioni. Utilizzo delle pratiche tutte mie per estraniarmi: parto con la respirazione, faccio training autogeno, ascolto delle musiche create da me. La sola cosa che decido prima di realizzare un’opera è come mi sento. In base a questo alimento le mie sensazioni con le frequenze giuste. Se sono malinconico, riguardo foto di amici del passato, magari chiamo una mia ex e le chiedo scusa. Mi emoziono, esagero le mie sensazioni. Un po’ come davanti a un film… è fatto di immagini, dialoghi, musica, lo guardi e ti commuovi. Io mi creo un film partendo dalla mia vita.”

Sei anche musicista?

“Sono musicista come sono pittore. Creo delle frequenze, non si tratta proprio di musica. Immagina un pianoforte, c’è una nota grave e una acuta, se la vuoi intermedia vai al centro. Nella pittura c’è il colore scuro e il colore chiaro, se ne vuoi uno mediano li mescoli. I colori tra il nero e il bianco sono come le scale musicali, variazioni. Prendi il rosso: lo utilizziamo nei segnali stradali, le cose rosse di solito sono pericolose, gli animali che diventano rossi sono in fase di attacco. Il nero è collegato magari alla morte, fa paura. Il bianco al sole, alla luce. Mescolando tra loro i colori, puoi rappresentare migliaia di emozioni. In ‘Ci sono domande che non hanno risposte’, per esempio, c’è il fuoco e quindi il rosso, c’è il mare in tempesta che è piuttosto scuro. L’omino è in una situazione di pericolo e di stallo. Non può fare nulla: o si butta in mare e affoga o resta fermo e affronta l’incendio. I colori dicono molto. In quest’altro esempio l’omino è chiaro, vestito di nuvole. Potrebbe spiccare il volo. La sua razionalità però lo tiene attaccato alla casa, non a caso scura.”

Quanto è importante per te che alla gente arrivi il senso del tuo lavoro?

“L’arte è per tutti. Un taglio sulla tela di Lucio Fontana può significare qualunque cosa. Per capire se si tratta di un’opera d’arte o di una tela rotta vicino a un cassonetto, io devo poter parlare con l’autore. I critici, le gallerie hanno sempre cercato di fare da tramite tra l’artista e la gente. Io ho uno spazio a Matera (la Dell’Osso Art Gallery, nda) ma, se la intendessi solo come una vetrina per vendere i miei lavori, potrei farne a meno. Per alcuni è limitante e abbassa il livello avere un proprio spazio. Io la vedo diversamente. A me piace parlare con la gente, imparo sempre qualcosa di nuovo. Non si può spiegare un’opera però posso spiegare quello che ho capito del perché l’ho realizzata. Siamo stati abituati al fatto che l’artista non deve comparire, ma gli artisti con la ‘a’ maiuscola hanno saputo trasformarsi in testimonial di se stessi. Prendi Andy Warhol o contemporanei come Jeff Koons e Damien Hirst. Possono permettersi di esporre alla Reggia di Versailles e al contempo vendere gadget in rete. Io con il cartone animato e i social ho raggiunto anche le nuove generazioni. Alcuni portano sulla propria pelle le mie opere sottoforma di tatuaggio.”

Come ti fa sentire questa cosa?

“Pian piano mi sto abituando all’idea. Ci sono stati anche bambini che hanno visto il mio omino e lo hanno voluto sulla torta di compleanno e magari il pasticciere, dovendo riprodurre l’opera partendo da una foto, l’ha fatta anche male… C’è poi un mio dipinto che raffigura un pene, legato a un discorso di energia. Parla della vita, con lo sperma che esce e va in circolo nell’universo. Aveva questo significato, doveva rimandare alla creazione, all’origine di tutto. Questo dipinto è stato comprato da un’attrice e ora fa parte della collezione privata di Rocco Siffredi. Lui mi ha anche chiamato, voleva sapere se potevo farlo più grande. Gli ho detto di no. Ecco, in questo caso, l’associazione con Siffredi ha finito col modificare il senso del mio dipinto. Siccome lui ha più visibilità di quella che ho io, è diventato per tutti un cazzo. La paura del successo sta tutta qui: io posso mostrare qualcosa, ma la gente la interpreta a suo piacimento. Si dovrebbe avere poi un microfono con un’amplificazione più potente per imporsi sulla voce degli altri. È dura fregarsene di qualcosa che è tuo. All’inizio la cosa dei tatuaggi mi spaventava tantissimo. Ho sempre avuto paura della notorietà perché ti fa perdere il controllo, ma nella vita non c’è rosa senza spine. Le parole con cui gli artisti devono confrontarsi tutta la vita sono ‘mostra’ – che se ci pensi significa ‘mettersi in mostra’ – e ‘critico’. Bisogna esporsi alla critica. Se vuole il successo, l’artista non può aver paura di mostrare qualunque cosa di sé, anche i difetti. Se non ho raggiunto una notorietà maggiore è perché mi sono posto dei limiti. Come in questo dipinto: c’è un omino che vuole prendere le stelle… Diciamo sempre che sarebbe bellissimo volare, ma volare è la cosa che fa più paura. Con il successo è lo stesso.”